Mani che s’intrecciano, sguardi di sfida che infiammati dal fervore del gioco s’incrociano, tavoli che sobbalzano sotto i colpi della… morra. La storia ne riporta tracce dall’antico Egitto, nella notte dei tempi. Ci si dilettava, sfidandosi, con quello strano calore, che prende in una partita di “micare digites” citazione latina, ossia protendere le dita nel gioco.
Murra in Sardegna, mora in Friuli e Trentino, mura a Bergamo, moura in Valle d’Aosta, la morra scala le montagne, sorvola i mari, in Catalogna è dichiarata addirittura sport nazionale.
Che cambi nome, accento o dicitura, il più antico dei passatempi ci accomuna. Perché è la passione a prendere il sopravvento su tutte le emozioni; è lei che fa rivivere nella mente lunghe serate passate a guardare i nostri avi, e tra una pausa per un bicchiere “de bon veun rodzo” e una “bocconata” improvvisata apparsa su quello stesso tavolo, a richiamare ancora i dirimpettai alla “bella”, ai 21 punti o su di lì, anche perché, a volte, le regole venivano un po’ stravolte a seconda dell’elastica memoria dei contendenti.
La storia ci riporta tutte queste notizie e ci ricorda che un regio decreto del giugno 1931 relegava la morra nella tabella dei giochi proibiti nei locali pubblici. Le radici profondamente ancorate nella terra hanno fatto sì che la sua vitalità durasse fino ai giorni nostri.
Di terra e di radici, appunto, si parla quando la si definisce un “Djouà de noutra tera” ed è con la recente costituzione dell’associazione denominata “Tchisse compagni valdotena djouà de la moura” che, ai quattro giochi tradizionali già esistenti, si è aggiunta la morra. Più viva che mai ha ripreso il suo cammino nelle feste patronali, nelle sagre paesane oppure in onore di qualche amico che ci ha lasciati troppo presto.
L’invito è dunque questo: “Veyen po l’oura que te vegnusse dzoyi avoui no a la moura”.